La morte del mafioso più famoso d’Italia, #Matteo Messina Denaro, mi porta a una breve riflessione su ciò che unisce il fenomeno mafioso alla disparità di genere. Giovanni Falcone aveva definito le mafie «organizzazioni molto conservatrici» e i mafiosi come uomini per i quali le donne contano solo come moglie e madri.
A sostegno della sua idea, c’è un famoso episodio, avvenuto nell’aula bunker di Rebibbia (nel ’93), quando Totò Riina, di fronte alla corte, rimproverò al pentito Buscetta di avere avuto “molte donne” nella sua vita. Come a dire: le donne non contano al di fuori del ruolo che hanno in famiglia e un uomo che ha rapporti con le “altre” donne non può essere un uomo affidabile.
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Uomini, donne e mafia
La narrazione tradizionale è sulla stessa linea del pensiero di Falcone: donne della mafia = figure assoggettate e sottomesse ai loro uomini.
Poi, si è scoperto che non sempre era così e che molte donne avevano assunto ruoli di rilievo all’interno delle organizzazioni criminali, o come partecipi degli affari dei clan o, al contrario, come elemento di rottura di certi sistemi, perché avevano avuto il coraggio di denunciare o di sostenere e promuovere i pentimenti degli uomini.
È nata quindi una seconda narrazione che, complici anche certe fiction di successo, ha dipinto le “donne di mafia” quasi come delle eroine, protagoniste degli eventi.
Dove è la verità?
Io credo alla verità dei dati che ci dicono che il tasso d’occupazione femminile, in Italia, nei territori tradizionalmente in mano alla mafia, è il più basso d’Europa.
Voi che dite?
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Giornalista, autrice e conduttrice tv. Da anni realizza reportage di approfondimento su ambiente, sostenibilità e temi sociali. L'argomento che più la appassiona è la parità di genere. E' mamma di due bambini.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Settembre 2023, 11:15
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